Anticamente chiamata “Charta Bambagina”. Secondo un'ipotesi il termine deriva dalla città araba El Mambig, o secondo un'altra dal nome greco Bambax che significa cotone. La materia prima era costituita dai cenci di cotone, lino e canapa, che venivano raccolti in apposite vasche di pietra dette “pile” ed erano triturati e ridotti in forma di poltiglia mediante una serie di magli di legno,alla cui estremità erano sistemati dei chiodi in ferro. La forma e le dimensioni di questi chiodi determinava la consistenza della poltiglia e, quindi la grammatura o spessore dei fogli di carta. Il movimento dei magli era generato dalla forza dell’acqua che, precipitando su di una ruota a contropeso (rotone), 'Ruota' per la lavorazione della carta a mano metteva in azione un albero di trasmissione (fuso).Una volta preparata la poltiglia, veniva raccolta in un tino che consisteva in una vasca rivestita di maioliche. Nel tino poi si calava la “forma”, che aveva la bordatura in legno (cassio) e la filigrana nel mezzo, composta da una fitta rete di fili di ottone o bronzo. La filigrana conteneva i marchi di fabbrica, che servivano a contraddistinguere i vari cartari. Questi marchi, visibili in controluce, raffiguravano simboli civici, araldici e religiosi. I fogli più antichi, risalenti al XIII e XIV sec., presentavano lo stemma della città o la croce ad otto punte e gli emblemi di famiglie antiche. La poltiglia, una volta attaccatasi alla forma e scolata l'acqua, veniva trasferita su un apposito feltro di lana. Si realizzava in tal modo una catasta di fogli di carta molto umidi, a cui si alternavano altrettanti feltri di lana.La catasta era quindi pressata da un torchio di legno, che determinava la fuoriuscita dell‘acqua. Successivamente i fogli di carta venivano staccati uno per uno dai feltri e portati nello “spandituro” per l’asciugamento definitivo, a mezzo di correnti d’aria. Per questo motivo gli spanditoi erano costruiti nella parte più alta della cartiera. In ultimo i fogli erano collezionati in pacchi nella stanza dell’ “allisciaturo”, dov’erano preventivamente sottoposti ad un’accurata stiratura. Nel XVIII sec.la pila a maglio fu sostituita dalla “macchina olandese” per una maggiore produzione e più raffinata della poltiglia. Questi strumenti presentavano grossi cilindri metallici, sui quali erano attaccate le filigrane. Una fase della lavorazione La pressione dell’acqua, che scorreva attraverso giuste condutture in muratura, attaccava la poltiglia alle filigrane. La poltiglia si staccava automaticamente e passava attraverso due rulli feltrati per l’eliminazione dell’acqua. I fogli di carta subivano un preasciugamento tramite una caldaia a vapore. La carta così prodotta a fogli veniva poi messa ad asciugare ulteriormente negli spanditoi. Si riconosce la carta a mano perchè é rugosa in superficie e con segni di linee lasciate dalla vergellatura e spesso ha anche una filigrana che i produttori inserivano come marchio di fabbrica; le filigrane erano immagini o lettere visibili in controluce come linee luminose rilevabili per uno spessore ridotto della carta.